Robert Putnam e il capitale sociale

Robert David Putnam è un politologo e sociologo statunitense famoso per i suoi studi sullo sviluppo della società civile e soprattutto per le approfondite analisi sulla nozione di capitale sociale, analisi che oltre a costituire fonte di ispirazione per buona parte delle elaborazioni successive, hanno avuto il merito di far conoscere il concetto anche al di fuori degli ambienti accademici.

Origine del termine

In realtà il primo a parlare di “capitale sociale” in termini sociologici è stato L. J. Hanifan che nel 1916 si riferiva solo in termini figurati all’accezione comune del termine, inteso in senso materiale, per definire quelle “entità intangibili che contano maggiormente nella vita delle persone, cioè la buona volontà, l’amicizia, la comprensione reciproca e i rapporti sociali tra gli individui e le famiglie che costituiscono un’unità sociale [… ]. L’individuo è indifeso socialmente, se lasciato a se stesso. Se entra in contatto con il suo vicino e poi ancora progressivamente con altri vicini, ci sarà un accumulo di capitale sociale, che può immediatamente soddisfare i suoi bisogni sociali e che può generare una potenzialità sociale in grado di migliorare in modo sostanziale le condizioni di vita nell’intera comunità”.
Analogamente a quanto avviene nei processi economici produttivi, nei quali è necessario partire da una dotazione iniziale di mezzi di produzione – un capitale appunto – anche nella costruzione di identità sociali e nella progettazione politica comunitaria devono esistere delle precondizioni presenti nella società e frutto a loro volta di precedenti processi. E’ solo a partire dagli anni ’90 che il concetto viene messo al centro dell’analisi politica e sociologica, anche in Italia, grazie agli importanti contributi di Putnam (tra questi La tradizione civica nelle regioni italiane ed. Mondadori 1993 e Capitale sociale e individualismo. Crisi e crescita della cultura civica in America ed. Il Mulino 2000).

Centralità del capitale sociale

Con il termine “capitale sociale” Putnam intende “[…] l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui” . Putnam si riferisce insomma a tutto quel bagaglio comune di valori relazionali costruiti nel tempo in un dato contesto socio-culturale, frutto di determinanti storiche presenti in specifiche realtà locali e che è in grado di interconnettere efficacemente persone e gruppi di persone irrobustendo così la vitalità della società civile. Esso in definitiva è un patrimonio di potenzialità positive che si esplica nella trama minuta delle relazioni sociali di tutti i giorni e di cui finiscono col beneficiare tutti, anche coloro che si impegnano meno nel costruirle.
Negli ultimi venti anni si è assistito ad un crescente interesse nello studio del capitale sociale, identificandolo come la chiave per capire dinamiche sottese allo sviluppo delle società, e che in particolare per Putnam è in grado di:
– aumentare l’efficacia e il rendimento delle azioni delle istituzioni pubbliche;
– migliorare la soddisfazione delle relazioni e della vita sociale ed in definitiva la qualità della vita;
– costituire elemento di prevenzione dell’isolamento sociale che è un fattore di rischio molto importante nel settore sanitario, per la salute della popolazione.

Istituzioni politiche, cooperazione, internet

Il capitale sociale si costruisce e si utilizza sia nel rapporto tra cittadinanza e istituzioni pubbliche e sia dentro le reti proprie della società civile. Coesione sociale, fiducia reciproca e trama di relazioni organizzate attraverso associazioni, circoli, sindacati etc. tuttavia non vengono creati dalle istituzioni bensì costituiscono un requisito pre-esistente, un retroterra storico sociologico presente in un determinato contesto sociale, una sorta di ”humus” che è in grado di favorire la crescita e la vitalità di tutti gli organismi sociali, non solo di quelli civico-associativi ma anche di quelli politico-istituzionali ed economico-cooperativi.

In particolare proprio la cooperazione nella produzione storicamente ha costituito una prima forma di rete e di collegamento sociale nella misura in cui il pre-requisito della fiducia reciproca riduceva i rischi della cooperazione e diminuendo così la necessità di ricorrere a complesse infrastrutture giuridiche basate sul controllo della produzione da parte dei proprietari del capitale imprenditoriale. Tale fiducia si è appunto creata nel tempo, storicamente, in ambienti comunitari sulla base e all’interno di legami non meramente produttivi ma anche di carattere personale e legati alla stima e alla fiducia reciproca.

Riguardo alle nuove possibilità tecnologiche dischiuse da Internet ci si chiede se e in che modo l’utilizzo del web possa influire sulle dinamiche del capitale sociale. Putnam ritiene che il risultato dipenda dal modo in cui la Rete viene utilizzata: se in maniera disgiunta dalle relazioni reali essa può essere dannosa e indebolirlo, se invece riesce a “legarsi” ai rapporti  reali – sia a livello logistico-organizzativo che comunicativo-informativo – può rafforzarlo come quando due metalli vanno a formare una lega ancora più resistente e duttile degli elementi che la compongono. Nella misura in cui riesca a costituirsi congiuntamente di componenti sia virtuali che reali c’è la possibilità che i capitali sociali possano arricchirsi ed accrescersi. Un po’ come Facebook, social network che in origine si è formato proprio così, da una comunità reale di studenti ad Harvard, di cui Putnam era professore ed uno degli iniziale tester.

Conclusioni

Riportiamo, per concludere, alcuni passaggi de Il capitale sociale di R. Carocci in “Le parole chiave della politica italiana, a cura di M. Almagisti e D. Piana. (pp. 267 – 282). Ed. Carocci, 2012.

Gli esseri umani danno senso alla vita non solo attraverso il perseguimento degli interessi ma anche, ad esempio, attraverso l’amore e il senso civico, beni radicalmente antieconomici, la cui disponibilità cresce quanto più li si pratica. Occorre dunque riconoscere nei valori e nella natura normativa dei legami comunitari la soluzione del mistero della cooperazione spontanea tra gli individui. […] La natura normativa del capitale sociale consiste nella diffusione di un senso di obbligazione e di responsabilità verso gli altri come elementi del repertorio di normalità codificate in una cultura: uno dei molti assunti, dati per scontati, che orientano l’azione individuale senza essere percepiti come scelte […].
Localismi, familismi e corporativismi, con le rispettive solidarietà escludenti, sono espressioni di capitale sociale che aggravano, più che risolvere, i problemi di governance delle società complesse. E’ su questo punto che diventa rilevante la definizione di Putnam del capitale sociale come “comunità civica”, in cui è diffuso un elevato senso civico (civicness), ovvero un orizzonte culturale congruente con gli assetti istituzionali di una democrazia e di un mercato efficienti: elevato senso di corresponsabilità interpersonale ad ampio raggio, diffuso rispetto delle norme informali e formali, un certo grado di informazione e competenza politica, identificazione con l’assetto istituzionale.
Dunque la civicness non è altro che il terzo puntello, quello culturale necessario per tenere in equilibrio una società democratica avanzata, in cui cioè stato e mercato sono, ciascuno nel suo ambito, efficienti: il primo è capace di assicurare sicurezza, ordine, garanzie di libertà ed eguaglianza, dunque diritti di cittadinanza; il secondo è in grado di produrre profitti e lavoro, ricchezza e beni – dunque entrate fiscali per lo stato. Un capitale sociale che alimenta i valori di condivisione della responsabilità verso gli altri e di lealtà verso le istituzioni, in particolare la partecipazione agli elevati costi della cittadinanza sociale, presenta tre caratteristiche che conviene esplicitare compiutamente:
– designa qualità antitetiche rispetto a quelle del free rider, cioè di colui che non si sente vincolato da alcuna obbligazione quando gli altri si impegnano per ottenere un beneficio che andrà anche a suo vantaggio;
– costituisce la declinazione del processo di nation-building aggiornata agli assetti istituzionali delle democrazie del welfare, che esigono da parte dei cittadini un commitment differente dal mero “amor di patria” ottocentesco.
– al contempo questo stesso orizzonte culturale non può che riflettersi anche sulla qualità delle relazioni di mercato, determinando il tessuto etico in cui avvengono le transazioni economiche: affidabilità degli attori, rispetto delle regole, ridotta incidenza di comportamenti opportunistici.