Biorcio e Vitale, l’associazionismo politico in Italia

La centralità degli organismi sociali nella Costituzione italiana

La libertà di associazione è espressamente prevista e disciplinata all’art. 18 Costituzione. Essa rientra, insieme alla libertà di riunione (art. 17 Cost.), tra le c.d. libertà collettive, cioè tra quelle libertà che presuppongono una pluralità di soggetti, accomunati da un unico fine, il cui esercizio non si esaurisce nella difesa di una sfera di autonomia individuale, ma è volto alla realizzazione di quelle finalità. La libertà di associazione non era direttamente prevista nello Statuto Albertino, ma la dottrina la deduceva dalla libertà di riunione (art. 32). Libertà di associazione e libertà di riunione si distinguono tra loro perché, mentre la seconda è caratterizzata dalla materiale compresenza di più persone in un determinato luogo, la libertà di associazione prescinde da questa, essendo rilevante, invece, il vincolo giuridico esistente tra gli associati […] In questo senso, quindi, la libertà di associazione costituisce uno degli aspetti fondamentali del pluralismo sociale ed è, a sua volta, una specificazione di quella tutela generale, riconosciuta all’art. 2 Cost., al singolo ed alle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità“. (Enciclopedia Treccani, voce “Libertà di associazione”)

Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 18: I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Art. 118 Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l‘autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

“Italia civile”, il saggio di Biorcio e Vitale

Al di là del dato normativo formale è però decisivo capire quanto, nella pratica, l’associazionismo italiano sia stato e sia tutt’ora in grado di mettere realmente in moto processi di consapevolezza civica e partecipazione politica. Nel volume “Italia civile. Associazionismo, partecipazione e politica” (2016, Donzelli editore) Roberto Biorcio e Tommaso Vitale hanno avuto proprio il merito di descrivere con un approccio sociologico, scavando nei pensieri e nei comportamenti dei singoli cittadini impegnati in gruppi, comitati, club, centri sociali, cooperative, movimenti e associazioni, evoluzione e modalità di diffusione dell’attività associativa e della sua rilevanza politica nel nostro paese.
Di questo saggio, a scopo di studio sul Terzo Settore, riorganizzo alcuni passaggi utili ad approfondire la storia della partecipazione sociale in Italia e del contributo che è stata in grado di offrire, e offre a tutt’ora, alla nostra democrazia.

Un po’ di storia

In Italia, tra gli anni ’50 e ’60 soltanto il 30% circa della popolazione era riunita in gruppi associativi. La maggior parte di essi formate erano strettamente collegate o ai partiti politici o alla Chiesa Cattolica. Tale dipendenza e mancanza di autonomia venne poi a calare dopo la crisi di Tangentopoli, la quale portò alla dissoluzione dei partiti esistenti e al conseguente scioglimento dei vincoli che legavano le associazioni agli stessi. La crisi della prima Repubblica portò nella gente diffuse speranze ed attese per il rinnovamento della Democrazia italiana e accelerò un processo di partecipazione generale al conseguimento di tal fine, identificato nel crescente aumento del fenomeno associazionistico come fattore di promozione sociale e precondizione per l’instaurarsi di un nuovo equo governo statale. L’adesione alle attività associative rappresentò in quel periodo per la popolazione un’esperienza di crescita personale e di partecipazione attiva alla vita politica nazionale, una partecipazione autonoma e a volte in contrasto con le stesse istituzioni e partiti politici. Il coinvolgimento in attività collettive divenne un fattore di appartenenza alla società civile, e contribuì alla formazione di una cultura nuova. Essa prevedeva lo strutturarsi di un tessuto sociale costituito da organizzazioni che agivano in modo del tutto responsabile e che si riconoscevano come nuove forme di istituti istituzionali in grado di riequilibrare i processi di sviluppo socio-economico.
Se fino agli anni Novanta, la loro azione era strettamente intrecciata con quella di altri attori politici, in primo luogo i partiti, il crollo che travolse questi ultimi avrebbe dovuto trascinare con sé anche le associazioni; al contrario, ci si rivolse alla società civile proprio come alla principale risorsa per rinnovare la politica, cooptando gruppi dirigenti e mettendoli al centro del dibattito pubblico. In questa fase le responsabilità delle associazioni crebbero ed andarono oltre le tradizionali funzioni di «scuola di democrazia», per supplire in modo diverso ad alcuni dei compiti storicamente svolti dai partiti e dalle istituzioni pubbliche.

Efficacia personale e centralità sociale, partecipazione associativa e pensiero critico

In Italia le associazioni agiscono in molteplici settori e partecipano all’erogazione di servizi di alto livello a prezzo contenuto, collaborando a tal fine anche con gli enti pubblici. La pratica associativa tuttavia oltre ai servizi produce, ed è ciò che ci interessa, diversi altri risultati sul piano più strettamente politico e sociale.
Biorcio e Vitale infatti rilevano e misurano “un maggior senso di efficacia personale, fiducia interpersonale e fiducia nelle istituzioni politiche” da parte di chi frequenta associazioni le quali attitudini si traducono in tendenza ad essere maggiormente informati sulle dinamiche di carattere politico e a farne più frequente oggetto di riflessione e dibattito. Inoltre mettono in luce come generalmente la partecipazione associativa venga considerata una esperienza significativa dal punto di vista umano e relazionale per gli attivisti, un’esperienza che nel tempo è in grado di suscitare cambiamento di “stili di vita e riferimenti culturali dei partecipanti“. Diversi risultati comprovano “l’importanza dei meccanismi di socializzazione associativa nel rinnovare idee e sentimenti“. Questi effetti sono sistematicamente associati a impegni continuativi e stabili a favore di specifiche organizzazioni le cui attività vanno anche a beneficio degli stessi soci, e confermano “la centralità delle abitudini collettive all’interno delle associazioni nell’innescare anche processi di cambiamento valoriale“.
Le persone che hanno un elevato senso di efficacia personale peraltro sono più attente alla vita pubblica e di regola più disponibili sia ad aderire ad associazione di volontariato che impegnarsi nell’azione politica“. La “centralità sociale”, ossia il complesso di queste specifiche qualità personali godute da alcuni individui o gruppi di individui, ha un ruolo importante nel determinare un più alto livello di partecipazione politica e di impegno nelle associazioni. Il punto centrale però è che la partecipazione sociale a sua volta ha un significativo ruolo di socializzazione politica. “Le esperienze associative cioè hanno un ruolo importante nel fornire ai partecipanti una socializzazione alla partecipazione politica che si aggiunge agli effetti delle diverse posizioni di centralità sociale” esistenti in partenza. Questo ruolo peraltro appare ancor più importante nei settori sociali meno dotati di risorse culturali ed economiche, settori nei quali la partecipazione ad associazioni e ad attività di volontariato in buona parte ne compensano la relativa perifericità sociale. In altri termini il semplice fatto di partecipare ad un’associazione riduce le diseguaglianze di accesso alla partecipazione politica e, a parità di condizioni, il fatto di partecipare un’associazione aumenta per le classi popolari la probabilità di essere attive politicamente. Più in particolare “nei territori in cui il civismo è più basso, non solo l’associazionismo gioca … un ruolo fondamentale nella produzione di beni pubblici, ma è anche un volano fondamentale di socializzazione ai valori e alle pratiche democratiche” ancor più che in altre parti del paese. “L’associazionismo si conferma ancora una volta come una vera scuola di democrazia soprattutto per le classi popolari e soprattutto la dove il capitale sociale territoriale è più basso“.
In definitiva si riscontrano conferme empiriche al fatto che l’associazionismo esplichi effetti anche sulla produzione di libera opinione e pensiero critico all’interno della popolazione. La partecipazione associativa produce certamente fiducia nelle possibilità di “cambiare le cose” e di conseguenza aumenta anche la fiducia verso molte istituzioni democratiche, ma questa aspettativa è critica nel senso che non è incondizionata. E un “capitale sociale critico“, cioè è sì una risorsa che favorisce legami sociali, fiducia interpersonale e anche istituzionale ma non in maniera indifferenziata: “essa infatti potenzia ed estende al contempo anche le capacità critiche degli attivisti, rappresentando così una forma di capitale sociale con conseguenze politiche“.
Peraltro la tendenza alla “partecipazione efficace”, cioè la consapevolezza che si ha di essere inseriti in dinamiche collettive e di poterle almeno in parte influenzare, spinge l’attivista sociale e chi si impegna in prima persona a disincentivare l’adesione a grandi organizzazioni istituzionali come la chiesa o i partiti e i sindacati. La ricerca di Biorcio e Vitale rileva infatti che, pur all’interno di dinamiche più generali presenti nella società italiana, al crescere dell’associazionismo religioso, diminuisce la pratica religiosa regolare, e al crescere della libera partecipazione associativa auto-organizzata tendono a diminuire di interesse tutte le forme istituzionali di partecipazione collettiva come quelle ad esempio rappresentate da partiti e sindacati.

Caratteristiche e diffusione dell’attività associativa in Italia

Biorcio e Vitale arrivano a distinguere e “categorizzare” quattro tipi di soggetti associativi presenti in Italia:
1. associazioni impegnate in attività prevalentemente di servizio, intendendo con ciò le associazioni che forniscono servizi a specifiche categorie di persone, e che non compiono azione di carattere politico;
2. associazioni impegnate in azioni più chiaramente di tipo politico
[protesta, opposizione a progetti di legge, e sensibilizzazione su certe tematiche n.d.r.] e che non erogano servizi;
3. associazioni ibride ovvero soggetti associativi impegnati in modo consistente sia in attività di servizio che in attività di tipo politico;
4. altre associazioni, ossia quelle che non rientrano nelle precedenti categorie; tali associazioni sono generalmente impegnate in attività per i propri aderenti di tipo benefico e ricreativo.

Le diverse aree associative sembrano tutte avere un campo d’azione in prevalenza comunale tranne alcune interessanti eccezioni. Ad esempio appare significativo il livello territoriale molto locale di tutte le associazioni religiose e lo scarso o nullo impegno delle associazioni culturali e delle stesse associazioni religiose a livelli più elevati di quello locale. Una maggiore propensione all’azione sovra-locale si nota nelle aree dell’impegno civico (come quelle che lavorano sull’immigrazione, la questione di genere, la cooperazione, l’ambiente). La domanda di socialità è presente come motivazione soprattutto tra i partecipanti alle associazioni sportive ricreative e culturali e in generale in tutte le associazioni che svolgono attività solo per gli aderenti. La sua importanza si ridimensiona notevolmente tra gli attivisti delle associazioni di impegno sociale e in quelle che svolgono attività di assistenza e solidarietà sociale. I primi considerano la propria partecipazione associativa soprattutto come un impegno del tempo libero mentre i secondi la considerano come un aspetto del proprio impegno sociale civile e politico.

L’esistenza di un rapporto virtuoso tra associazionismo e democrazia non dipende tanto dalla presenza e densità di soggetti associativi in un dato territorio, quanto dalle modalità con cui l’azione delle associazioni si articola e si organizza”

In ogni caso, pur con le differenze e specificità che possono caratterizzarlo il mondo dell’associazionismo rappresenta la parte più attiva e sensibile della società civile. Impegnate in molteplici attività, le reti associative favoriscono la diffusione della cultura democratica e della solidarietà sociale, rafforzando i legami fra le persone e l’efficacia delle politiche pubbliche.